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Giù da Latorre

Certe cose sono talmente piccole e penose che preferiremmo non commentarle. Passare oltre, far finta che non siano successe, occuparci d’altro. In fondo, cosa c’è da aggiungere? Non è già abbastanza deprimente lo stato in cui versa il Partito Democratico? Dobbiamo per forza parlare di quel che ha combinato l’on. Nicola Latorre poche mattine fu su Omnibus, il programma di informazione della mattina, su La7? Non vorremmo ma sì, dobbiamo.

HAPPY ENDING – Dobbiamo perché l’episodio è in qualche modo la conclusione più appropriata della vicenda che è ruotata attorno alla presidenza della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, iniziata con la minoranza a impuntarsi per oltre quaranta votazioni su unico candidato, proseguita con l’elezione a sorpresa del sen. Riccardo Villari, divenuto in pochi giorni una grottesca celebrità e culminata con la scenetta a Omnibus il cui riassunto è molto semplice: durante un dibattito un esponente del partito all’opposizione ha suggerito furtivamente una risposta all’esponente del partito di maggioranza, allo scopo di mettere in difficoltà un altro partito d’opposizione con cui si sta(va) facendo causa comune.

FENOMENOLOGIA DI NICOLA LATORRE – Fossimo un po’ più tromboni, adesso inizieremmo il solito pippone sul fatto che in qualsiasi altro paese europeo dopo una figuraccia del genere non staremmo nemmeno a parlare di espulsione o sanzioni o smentite, dato che il diretto interessato si sarebbe dimesso seduta stante. Ma non sono così trombone, e Latorre è l’uomo che è passato indenne dalle telefonate con Stefano Ricucci, insieme al quale voleva «cambiare il volto del potere in Italia»: cosa volete che gli faccia un pizzino. Ci sembra però che il gesto di Latorre sia in qualche modo sintesi di un certo modo di muoversi di quell’area politico-culturale che gira attorno alla figura di Massimo D’Alema: ci sembra ne sia un po’ un episodio simbolo. Almeno per due motivi.

TUTTO UN MAGNA MAGNA – Il primo motivo sta nello stile dei rapporti con gli avversari. Qui nessuno pensa che politici appartenenti a partiti diversi non possano parlarsi, scherzare, andare al cinema, anzi: qui si pensa che serva maggiore collaborazione e meno odio tra le parti migliori dei due schieramenti, che una riforma condivisa è una riforma che dura più lungo e non viene cambiata di legislatura in legislatura, che è bene cercarle, le convergenze, ché non è detto ma magari si trovano. Il punto è: era quello l’obiettivo di Latorre? Mi auguro di sbagliarmi, ma probabilmente non questo, non il moderare i toni col centrodestra ocercare convergenze positive. Possiamo dire senza eccessivi timori di essere smentiti che l’obiettivo era mettere in difficoltà l’esponente dell’Idv nonché permettere al centrodestra di continuare a tenere in mano la situazione, danneggiando così anche la leadership del Pd, cioè l’odiatissimo Walter, responsabile dell’insistenza su Orlando e dell’empasse attuale. Non si tratta più di avversari con cui si può collaborare; si tratta praticamente di alleati. A la guerre comme a la guerre, insomma. E abbiamo capito da che parte sta Latorre.

CHE NON SI SAPPIA IN GIRO – La seconda cosa è ancora più evidente. Detto dell’obiettivo di danneggiare Di Pietro e mettere in difficoltà la leadership del Pd, è illuminante la frase con cui si apre il pizzino: «Io non posso dirlo». Santo cielo, e perché? Qui gli avremmo dato pure ragione, a Latorre, ma lui non può dirlo. Non si capisce perché non si possano perseguire gli obiettivi di cui sopra alla luce del sole, se non quello di rischiare che qualcuno possa legittimamente giudicarti per questi o, a seguito di mancato raggiungimento dell’obiettivo, si possa pagare un prezzo politico: si dica che l’alleanza con Di Pietro è stata un errore gigantesco e l’insistenza su Orlando è stata follia pura, se ne convinca l’opinione pubblica, no? No. La cosa singolare è che quando parliamo di Nicola Latorre parliamo di un dalemiano di stretta osservanza, uno che come e più degli altri si riempie la bocca di formule come confronto-delle-idee, primato-della-politica, elaborazione-dei-contenuti, eccetera. Tutte cose che non vanno d’accordo con questi mezzucci da interrogazione al liceo. Non sappiamo se Latorre abbia riflettuto abbastanza sulla contraddittorietà del suo comportamento e sulle proporzioni gigantesche della sua figuraccia (poi dici perché le liste bloccate: ma Latorre quando lo rieleggono, con le preferenze?); sappiamo però che farebbe meglio a riconsiderare il suo modo di comunicare col mondo esterno: coi telefonini non gli è andata bene, con i bigliettini nemmeno. Telegramma?

(per Giornalettismo)