Che ti pareva
Scrivevo, qui, il 22 ottobre:
Questo è uno dei motivi per cui non ho intenzione di unirmi alle proteste di questi giorni, basate sull’alleanza con i veri responsabili del disastro dell’università e imperniate su una sostanziale difesa dell’indifendibile. Un partito serio e meno concentrato su discussioni ombelicali ci metterebbe un attimo a infilarsi nella prateria gigantesca che separa le compagnie di giro dei collettivi universitari dal governo Berlusconi, la difesa delle baronie dai tagli indiscriminati. Invece la linea politica del più grande partito di opposizione è terrorizzarsi in vista della manifestazione di sabato e andare a braccetto con marxisti e rettori pur di far numero
Non era complicato prevedere come sarebbe andata a finire. Oggi Matteo Rizzolli spezzetta la veteromarxista proposta di autoriforma dell’università prodotta dai collettivi universitari, che hanno sempre avuto in mano le chiavi della protesta e hanno almeno il coraggio di mettere per iscritto che per loro l’università italiana va bene così com’è. Marco Simoni ne ride e basta, anche se c’è da piangere. Per il resto, questa storia dovrebbe insegnare quattro cose elementari a chi non le sapeva ancora:
– che la politica, le mobilitazioni e le manifestazioni all’università sono monopolio dei collettivi universitari, e che nei licei si manifesta ogni sabato del primo quadrimestre, da sempre. A volte con buoni motivi, a volte no: io una volta andai a un corteo dei metalmeccanici, per dire. Tenerne conto aiuta
– che il fatto che un corteo sia bello, festoso e colorato è un merito di organizzatori e partecipanti, ma non vuol dire certo che organizzatori e partecipanti hanno ragione di sicuro sul motivo per cui manifestano, che poi è quello per cui dovremmo giudicarli
– che andare contro Berlusconi a tutti i costi non garantisce di andare dalla parte giusta
– che i tanti ragazzi senza la maglietta del Che che sono scesi in piazza accanto ai collettivi – in mancanza d’altro – potrebbero pure sentirsi più coinvolti, in politica, se ci fosse un partito che decidesse di dir loro due parole.