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Anche io, anche io

Che poi c’era da aspettarselo: cosa fanno un partito e una classe dirigente che hanno perso le elezioni e non hanno uno straccio di idea su come vincere le prossime? Rifanno le cose già fatte in passato – la
manifestazione, il referendum, eccetera – e, in assenza delle proprie, prendono in presto le vittorie degli altri. Per questo, sì, ci si poteva aspettare un po’ di euforia nel Partito Democratico all’indomani dell’elezione a presidente degli Stati Uniti di Barack Obama. Ho detto un po’ di euforia; non questo delirio provinciale e imbarazzante.

ANCHE IO, ANCHE IO – Tutti hanno qualcosa da dire, tutti si sentono in dovere di dare il loro indispensabile commento. Sentite che punti di vista originali e imperdibili: l’elezione di Obama sarebbe «un fatto gigantesco che cambierà il mondo», secondo Francesco Rutelli. Piero Fassino ci tranquillizza tutti, dichiarando che l’elezione di Obama determinerà «un netto miglioramento» nei nostri rapporti con gli Usa. Giovanna Melandri ci tiene a far sapere al paese che lei è «sicura che Obama ricostituirà il sogno americano», ma Vannino Chiti vuol dire ancora la sua: «Da oggi inizia una nuova pagina della storia degli Stati Uniti e dell’intera comunità internazionale». Che dire poi della ficcante analisi di Nicola Latorre? «Indubbiamente può segnare una svolta il fatto che gli elettori Usa abbiano scelto affidandosi alla speranza, anziché alla paura». Indubbiamente.

LA, EHM, LUNGA NOTTE – L’euforico saltellare sul carro del vincitore era cominciato però ben prima dell’overdose di comunicati stampa: era cominciato con gli eventi della notte elettorale. Youdem e il gotha del Partito Democratico si ritrovavano a Piazza di Pietra, tra hamburger, connessioni wi-fi balbettanti e caffè lunghissimi. Peccato che si sia chiusa baracca quando Barack Obama e John McCain dovevano ancora fare i loro attesi discorsi di fine campagna. Non è andata meglio, anzi, è andata decisamente peggio alla lunga-notte-di-Red, al Caffè Letterario, sempre a Roma. L’invito al lancio della tv della fondazione Italianieuropei prometteva una diretta dalle 23 alle 7 del mattino: peccato che tutti erano concentrati su Massimo D’Alema, in sala non c’era una sola tv, né una radio e nemmeno un citofono o un telegrafo per sapere cosa stesse succedendo oltreoceano. C’era un pc, uno solo, ma a un certo punto hanno pure staccato la linea. Poi è andato via D’Alema e non è rimasto quasi nessuno, tanto che alle due del mattino, cioè proprio quando le cose iniziavano a diventare interessanti, si chiude bottega e si manda tutti a casa: eccovi servita la «lunga notte». E non è finita. L’indomani grande festa al Pantheon con musica jazz e Veltroni che parla come se avesse vinto lui, con dietro composti D’Alema, Melandri, Fioroni, Franceschini, Bersani, Garavaglia, Zingaretti, immobili, ché le foto vengono meglio. Alla festa al Pantheon doveva seguire una fiaccolata al Colosseo, ma la scarsa partecipazione ha fortunatamenteindotto gli organizzatori a ripensarci – sì, una fiaccolata, roba da comitato di quartiere contro la delinquenza. Basta così? No: la mattina del 5 novembre i romani hanno trovato la loro città tappezzata di manifesti con la faccia di Obama, il logo del Pd e una scritta, perentoria: «Il mondo cambia». Il loro.

UOLTER – Chi sarebbe riuscito a sguazzare nella vittoria di Barack Obama meglio di Walter Veltroni, fresco di viaggio in Usa e kennediano da sempre? Nessuno, infatti Walter è onnipresente: al Tg1, a Porta a porta, sui giornali, su Sky, ovunque si parli di Obama a un certo punto salta fuori Walter che parla del presidente come Pippo Baudo potrebbe parlare di Heather Parisi: l’ha inventato lui. Si capisce che gli piacerebbe essere toccato da un po’ di luce riflessa, e non ne fa mistero: «Se il vento gira in America poi gira anche da questa parte». Un improbabile Giorgio Tonini rincara la dose, mettendo da parte anche quel poco di senso del ridicolo che era rimasto: «La vittoria di Barack Obama rafforza la leadership di Veltroni». Ha detto proprio così: rafforza-la-leadership.

SILVIO, UN NOVELLINO – Intanto, il primo leader politico italiano a incontrare Barack Obama sarà Silvio Berlusconi, che stringerà la mano al president-elect già il 15 novembre al G20, e ospiterà poi in
Sardegna il G8 di giugno. Terrorizzati che Obama finisca per fare la fine di Blair, il mito del rinnovamento della sinistra europea che divenne in breve l’«amico Tony» di Silvio, ogni tanto nel Pd qualcuno mormora: «Vedrai, Berlusconi dirà che da giovane era negro anche lui», e giù risate. Peccato sia quello che stanno facendo loro.

(per Giornalettismo)