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Dieci cose sull’elezione di Obama

E’ la storia
Ripetetevelo in testa, come un mantra, mentre guidate, mentre vi lavate i denti, mentre accompagnate vostro figlio da qualche parte. Barack Obama, presidente degli Stati Uniti. Barack Obama, presidente degli Stati Uniti. Questa notte si è scritto un pezzo di storia del posto in cui viviamo.

Lezioni
Un quarantenne negro ha stravinto le elezioni americane stracciando un bianco eroe di guerra e una paladina delle casalinghe. Non sono perfetti, certo, ma gli Stati Uniti rimangono – insieme al Regno Unito – la più grande democrazia che questo mondo abbia mai conosciuto. Dovremmo imparare da loro, e imitarli, invece che trattarli con quello snobismo ideologico e de sinistra che non riusciamo a scrollarci.

Bravi
Qui siamo convinti che sia Hillary Clinton, sia – in misura minore – John McCain sarebbero stati degli ottimi presidenti, abili, capaci e perfettamente in grado di riportare gli Stati Uniti d’America a esercitare nel modo più nobile il ruolo di leader del mondo libero. Solo che la storia passava da lì quando hanno deciso di candidarsi, e sono stati letteralmente spazzati via.

Chi perde
McCain e i repubblicani sono in ottima compagnia, specie da questa parte dell’oceano. Hanno perso quelli che Obama non vincerà mai, è un negro e io le azzecco sempre. Hanno perso quelli che vedrai che fanno qualche imbroglio. Hanno perso quelli che l’America è in mano alle lobby. Hanno perso quelli che figurati se fanno vincere lui (fanno? chi?). Hanno perso quelli che internet in politica non serve a nulla. Hanno perso quelli che Obama è fighetto, snob ed elitario (tre parole per voi: Colorado, New Mexico, Florida – e io darei pure un’occhiata al dato in Missouri). Hanno perso quelli che Obama non avrebbe vinto nei big eight, e ci voleva Hillary (faccio l’elenco?). Hanno perso quelli che hanno già capito tutto, e sanno già tutto, sempre.

Una notte piccola piccola
Son tutti bravi, alla vigilia, a blaterare di electoral night di qua e di là. Al Pd, in Piazza di Pietra, hanno sbaraccato abbondantemente prima del victory speech. Alla grande di notte di Red (sic), poi, la sala si riempiva e si svuotava in corrispondenza con le entrate e le uscite di D’Alema, c’era un solo pc collegato alla rete, non c’era una sola tv accesa e alle due hanno chiuso bottega, alla faccia della grande notte. I mejo sono stati questi americani qui, con cui ho visto i discorsi di McCain e del presidente Obama, insieme a mezzo Pd (Zoro, Melandri, Concia e altri): erano in visibilio. Noi siamo sempre i soliti provincialotti, invece.

Polls
I sondaggi ci hanno preso, in pieno, anche quest’anno. Non c’è stata traccia di effetto Bradley, non ci sono stati errori significativi, a dimostrazione del mancato fondamento di un altro abusatissimo luogo comune. Altro che “lascia stare i sondaggi”: i sondaggi, se fatti spesso e bene, servono.

Bye bye
Quello che è successo stanotte rappresenta l’inizio e la fine di tante cose. Tra le tante, merita di essere citata la fine dell’era Clinton. Hillary farà la senatrice, finché le andrà; Bill ricomincerà a fare conferenze. La storia non si ripete.

Oh
Pippo, Ivan: se non tornate in Italia con la maglietta e la tazza, vi strangolo.

E ora
Sì, ora siamo felici e un po’ smarriti. Cosa facciamo adesso? Cosa facciamo da qui a gennaio? Quanto tempo passerà prima di seguire un’altra campagna elettorale con questa intensità? E’ un po’ come quando abbiamo vinto i Mondiali: una cosa fantastica, chissà quando ricapiterà mai. Ricapiterà mai?

Buongiorno
Luca scrive: «Ragazzi, complimenti a tutti. È la cosa più bella capitata a questo mondo dal 1989». Ha ragione. Godiamocela.