Questo sito contribuisce alla audience di IlPost

Il referendum sul grembiule

(per Giornalettismo)

E così la cosiddetta riforma Gelmini è legge. Il Partito Democratico e l’Italia dei Valori hanno tentato una qualche forma di ostruzionismo durante i lavori in Senato di ieri, ma senza alcun risultato. Nel frattempo, non si fermano le manifestazioni e le proteste delle associazioni degli studenti, dei sindacati e dei genitori, che culmineranno con lo sciopero generale di questa giornata.

THANKS GOD IT’S OCTOBER
– Volendola mettere sul piano squisitamente politico, la protesta è stata una manna dal cielo per il Pd: lo ha rivitalizzato, lo ha rimesso in piedi, gli ha dato l’illusione di un consenso giovanile e gli ha permesso di trovare dopo mesi una sponda popolare al proprio lavoro in aula. Il Pd, date le sue condizioni disperate, ha cavalcato il movimento in maniera completamente acritica. Sì, nel programma elettorale si era parlato di meritocrazia, lotta ai baroni, poli di eccellenza, apertura a investimenti privati, eccetera ma – sapete come si dice – il nemico del mio nemico è mio amico, per cui ecco il Partito Democratico marciare felice insieme a collettivi universitari e centri sociali. In mancanza di una propria piattaforma, il Pd non si è fatto troppi problemi a marciare con i comunisti anti-mercato, con i rettori che assumono figli e nipoti, con i baroni dei concorsi farsa, con i sostenitori dei finanziamenti a pioggia, con i dottorandi che rivendicano il diritto a essere scelti sulla base dei caffè portati al professore e cose così. Insomma, il messaggio che è passato nel paese – anche grazie al solito abile lavoro dei telegiornali – è che da una parte c’era il ministro Gelmini e dall’altra i centri sociali e i soliti studenti che durante il primo quadrimestre hanno sempre protestato e occupato, per un motivo o per un altro. Indovinate da che parte si è schierato il paese.

ALLOCCHI – Qui c’è da aprire una parentesi. Guardando i numeri dello spaventoso consenso degli italiani verso il governo, si possono avere due reazioni. La prima è pensare che gli italiani siano diventati matti, tutti, all’improvviso. La seconda reazione è comprendere il senso della strategia di Berlusconi, ed elaborare delle contromisure. Il governo Berlusconi sta aggredendo tutti i nodi di questo paese, tutti i problemi storicamente irrisolti, proponendo per la loro risoluzione dei provvedimenti nel migliore dei casi populistici e inefficaci, nel peggiore controproducenti e dannosi. Ma sta facendo delle cose, o perlomeno ne dà l’impressione. Il Pd cade nella trappola tutte le volte: Brunetta attacca sul fronte dell’efficienza della pubblica amministrazione, il Pd si appiattisce sulla linea della Cgil. Gelmini taglia i fondi alla scuola, il Pd scende in piazza coi collettivi universitari. E via dicendo. Tra l’operato del governo Berlusconi e la difesa dello status quo c’è una prateria enorme in cui un partito riformista serio e con una comunicazione efficace potrebbe fare il bello e il cattivo tempo, mentre la difesa dello status quo è destinata a produrre inesorabilmente sconfitte su sconfitte. Certo, per abbandonare i consensi facili di chi vuole conservare le cose così come sono serve avere coraggio, idee e credibilità. Tutte cose che al momento mancano, anche perché ai sondaggi sul gradimento di Berlusconi il Pd si è dato la prima risposta: gli italiani sono matti (vedi Walter il 25 ottobre, e l’Italia migliore di chi la governa). Cose che fanno guadagnare migliaia di voti, come potete immaginare. Chiusa parentesi, comunque, e torniamo a noi.

TOH – Bisogna essere onesti: il Partito Democratico si è ricordato ieri – sì, ieri, meglio di niente – di essere un partito progressista e non conservatore, e ha diffuso la propria proposta per l’università. Sette paginette in pdf pubblicate sul proprio sito e rilanciate da Repubblica, contenenti vari principi vaghi e condivisibili e un paio di cose concrete piuttosto azzeccate. Buongiorno, verrebbe da dire, se non fosse che poi queste sette paginette non le si è diffuse in alcun modo. Una conferenza stampa? Un volantinaggio a tappeto? Walter che scende in piazza a spiegarle agli studenti? Un banner da far girare online? Niente. Solo le sette paginette, e un piccolo e anonimo sunto sul sito del partito. Buonanotte.

AL VOTO! AL VOTO? – In fondo era veramente un copione già scritto. La storia ci dice che il centrosinistra italiano sa fare opposizione solo in due modi: manifestazioni di piazza e referendum. Per cui, dopo le manifestazioni di piazza, è arrivata puntuale come la morte la richiesta di referendum. Uno dice: referendum? Dopo la mazzata che ha reso immodificabile la legge 40? Dopo aver detto per mesi a Di Pietro che farlo sul lodo Alfano rischia di essere controproducente? Sì. Referendum è una di quelle parole che la politica tira fuori quando ha finito ogni altra arma. Il punto è che a essere superficiali e pressapochisti si combinano dei gran pasticci. Il caso vuole che la legge proibisca i referendum in materia di bilancio, per cui tutta la parte della legge 130 relativa ai tagli non si può toccare, e la stessa cosa vale per il maestro unico, la cui normativa risale all’ultima finanziaria. Cosa rimane? Il voto in condotta, il grembiule, i voti in numeri anziché in giudizi e altre quisquilie. Che si sappia, quindi: la ricetta del più grande partito d’opposizione in Italia è proporre con gran solennità e pomposità un referendum sul grembiule. Referendum. Grembiule. Basta.