Wind of change
Noi lo vediamo, il vecchio John, correre, dimenarsi e saltare da uno stato all’altro dell’unione, il tutto senza fermarsi un attimo, smentendo – dobbiamo ammetterlo – chi dubitava della tenuta del suo fisico. Ha scorza, John. Per i membri del suo staff, per i capi del suo partito, per l’establishment repubblicano, questo è solo un giro di giostra, e il prossimo arriva tra appena due anni; per lui questa è la partita della vita. Il punto è che quando le cose si mettono male – e qui le cose si sono messe così male perché è arrivata la più grave crisi economica da ottanta anni a questa parte, quando si dice la sfortuna – dicevamo, quando le cose si mettono male, riprendere il filo e invertire la rotta è complicatissimo (la Roma ne sa qualcosa, ma questo è un altro discorso).
John ci crede e fosse per lui, forse, qualche chance l’avrebbe ancora – qui gliene daremmo una su cento, che se ci pensate è tantissimo. Tutto quello che è attorno a lui, però, nella sua campagna e nel suo partito, si sta sgretolando, inesorabilmente, ed è come una valanga: una volta partita, non si può fare nulla per arrestarla.
Nei giorni scorsi gliene sono capitate di tutti i colori. C’è la storia, di cui abbiamo scritto, della sua supporter aggredita da una banda di fan di Obama che la picchia e le incide una B sulla guancia – e poi si è scoperto che si era inventata tutto, e si era addirittura sfregiata da sola. C’è la parte nera della sua famiglia – sì, John McCain ha dei parenti neri – che ha detto che voterà Barack Obama. C’è la storia del suo incontro cordiale col dittatore Augusto Pinochet, che ok, erano altri tempi, ma dopo mesi ad accusare Obama di voler incontrare un dittatore senza pre-condizioni suona male, molto male. C’è suo fratello, professionista della gaffe, che si è messo a insultare gli operatori del 911. C’è la storia dei supercostosi vestiti di Sarah Palin e c’è, soprattutto, il tradimento di Sarah Palin. La governatrice dell’Alaska, fiutata l’aria della sconfitta, non ha nessuna intenzione di lasciarsi travolgere dalla valanga e lascia il povero John sempre più solo: litiga con lo staff di McCain e va addirittura a fare comizi in Iowa, dove i sondaggi danno Obama in vantaggio di dodici punti. Però voi sapete bene che stato è l’Iowa, e perché conta molto nella geografia politica americana: è lo stato dove prendono inizio le primarie. Viene da solidarizzare con McCain, visto che Sarah Palin come politico di rilevanza federale se l’è inventata lui; poi però pensiamo che un po’ se l’è meritato, e se imbarchi una come Sarah Palin, è il minimo che ti possa capitare (il massimo speriamo di non doverlo mai scoprire).
C’è, in generale, lo sgretolamento completo del fronte dei suoi alleati e dei suoi supporter, che fanno a gara a salire sul carro del vincitore, finché si è in tempo. Ricordate l’esercito di superdelegati che mollava la Clinton per passare a Obama, pochi giorni prima della fine delle primarie? A John McCain sta succedendo la stessa cosa e Colin Powell e Scott McClennan non sono che la punta dell’iceberg: decine di deputati, senatori e governatori repubblicani stanno dando il loro sostegno a Obama. Senza contare i quotidiani: si è ormai perso il conto del numero di quotidiani storicamente conservatori che si sono schierati per Barack Obama. Tutte cose che di per sé vogliono dire poco, dirà qualcuno; c’è l’America profonda, diranno altri. Tutto vero: per questo serve prudenza nel connettere cause ed effetti, e qui ci limitiamo semplicemente a registrare una serie di fatti e una certa atmosfera. Sembra di essere in presenza di una valanga, simile alle proporzioni della vittoria che i sondaggi sembrano assegnare a Obama, con un distacco enorme a soli nove giorni dalla chiusura delle urne. Degli elettori, beh, parleremo poi, ma l’aria che tira è questa. Aria di cambiamento.
P.S.: La foto dell’ultimo link è scattata in Texas. Per dire.