Di Pd
Mesi di rincorsa al governo, lotte intestine, liti con gli ex-alleati e delusioni nei sondaggi per arrivare finalmente al giorno dell’agognato riscatto: si va in piazza. E’ arrivato, finalmente, il 25 ottobre. Lanciata ormai quasi cinque mesi fa per salvare l’Italia, la giornata della riscossa è vicina. Forse. Perché il Pd va in piazza? Per salvare l’Italia, e non serve specificare da chi. In che senso salvare l’Italia? Non si era detto fino all’altro ieri che «l’Italia è in piedi, è la politica che deve rialzarsi»? Per cosa andiamo a manifestare, di preciso? Qui ogni democratico ha la sua versione: chi per salvare la scuola dai tagli del ministro Gelmini, chi per salvare il paese dal disimpegno sul fronte ambientalista, chi per chiedere al governo misure più efficaci per contenere la crisi, chi per sbloccare la questione delle nomine in Rai, chi per la lotta al carovita e gli stipendi, chi per Alitalia, eccetera. C’è un punto, ha fatto notare qualcuno: nessuna di queste rivendicazioni era sul campo quando la manifestazione è stata lanciata. C’erano delle cose, sì, ma il punto è un altro: si è deciso che quattro mesi dopo si sarebbe protestato e amen, ci fossero o no i motivi, e comunque ognuno si sarebbe portato i suoi. I metodi sono gli stessi del vecchio Pci: a settembre la festa dell’Unità, a ottobre il corteo contro il governo, così, per statuto. Il Pd è passato dal fair play alla guerra preventiva.
A CIASCUNO IL SUO – Un’impostazione così traballante non poteva che fare da moltiplicatore di posizioni – e di polemiche, ça va sans dire. Arturo Parisi pensa che la piattaforma della manifestazione sia troppo morbidina, per cui è andato anche alla manifestazione di Di Pietro in piazza Navona e sabato durante il corteo raccoglierà le firme per il referendum sul lodo Alfano promosso sempre dall’ex-pm. Gavino Angius ritiene che la piattaforma della manifestazione sia ottima e abbondante, specie da quando si è reso conto di essere rimasto praticamente solo. Enrico Morando pensa che si tratti una manifestazione a sostegno del governo, e non contro. Franco Grillini ha messo da parte tutte le sue obiezioni sulla laicità del Pd, da quando vuol candidarsi a sindaco di Bologna. Marco Follini non voleva neanche farla, ’sta benedetta manifestazione. Massimo D’Alema pensa che il partito debba stringersi attorno al segretario: un po’ di più, ancora, ancora un po’, più stretti, ecco, così. Francesco Rutelli pensa che il mondo è cambiato, negli ultimi giorni, quindi è cambiata anche la piattaforma della manifestazione: niente proteste, solo proposte, magari «aggressive». Antonio Polito sul Riformista l’ha rivoltata: non c’è da salvare l’Italia, c’è da salvare il Pd. E così la manifestazione del 25 ottobre è diventata omnibus, come un qualsiasi maxiemendamento alla finanziaria: ognuno ci mette quel che gli pare.
DARE I NUMERI – La pressione è parecchia, e non ci si può permettere di sbagliare. Durante i primi sei mesi di opposizione del Pd, la risposta a chiunque suggerisse un colpo di reni, una sveglia, era la stessa, da parte dell’entourage del segretario: il 25 ottobre andiamo in piazza, e vedrai che grande manifestazione di popolo. Solo che i tempi sono quelli che sono, l’autunno caldo in realtà è più tiepido che mai (e sarebbe glaciale, se non fosse per il decreto Gelmini e la voglia di studiare del sabato durante il primo quadrimestre), il Partito Democratico è in preda a una vera e propria emorragia di consensi e – insomma – al loft c’è il terrore che sabato a salvare l’Italia vadano in pochi. All’epoca del primo governo Berlusconi, la Cgil portò al Circo Massimo tre milioni di persone, secondo le cifre allora diffuse. Due anni fa, Forza Italia e An portarono in piazza contro il governo Prodi due milioni di persone.
SEGNALI NEGATIVI – Stavolta rischiano di fare un flop, meno di un milione, fatto completamente inedito per la storia recente del centrosinistra. Persino la roboante raccolta delle cinque milioni di firme contro il governo va a rilento: dopo vari mesi di raccolta in tutti i circoli e le feste dell’unità d’Italia, siamo ancora a quota quattro milioni. Nessuno ha dubbi sul fatto che sabato si arriverà a cinque, in qualsiasi modo, ma – come dire – questi sono segnali. Walter è corso ai ripari: da una parte ha chiesto a tutti i parlamentari un sostanzioso contributo economico e l’organizzazione di pullman e viaggi organizzati verso Roma, dall’altra ha continuato nel far ricorso alla strategia dell’attentato alla democrazia e della «dittatura dolce». Potrà servire, forse, a limitare i danni; difficilmente guarirà l’abulia del suo partito e dei suoi militanti. Almeno da qui a sabato.