Prendersi il Pd in tre mosse
Tesseramento, elezioni europee, congresso: queste le tre tappe della strategia di Massimo D’Alema per voltare pagina nel Partito Democratico. Che l’ex-premier non sia un estimatore della leadership di Walter Veltroni è cosa nota, così come sono noti i fastidî dell’apparato veltroniano davanti all’attivismo post-elettorale di D’Alema e della sua fondazione Red. Presto però saranno accantonate le dichiarazioni a mezza bocca con cui si sono sfidati finora i due storici rivali, e si comincerà a fare sul serio.
La prima fase sarà il tesseramento, iniziato a fari spenti quest’estate e presto rilanciato in grande stile in occasione della manifestazione del 25 ottobre. Un tesseramento voluto fortissimamente da Massimo D’Alema – «Io sono abituato ad avere una tessera, per ora ho ancora un attestato e aspetto trepidante di avere una tessera» – e che, fosse dipeso dalle truppe veltroniane nella commissione statuto del partito, non si sarebbe mai realizzato, regalando al Partito Democratico quello status di partito liquido e all’americana tanto caro al segretario del Pd. C’è un altro tesseramento, però, al quale Massimo D’Alema tiene particolarmente: quello di Red, il cui primo conteggio ufficiale è stato diffuso nei giorni scorsi fornendo cifre di tutto rispetto (tremila iscritti, e il tesseramento nelle regioni rosse deve ancora partire). Il tesseramento di Red e quello del Partito Democratico sono strettamente collegati. In molti considerano ormai l’associazione dalemiana un vero e proprio partito nel partito, e pensano che sarà proprio Red lo strumento con cui, al momento opportuno, D’Alema lancerà l’opa sulla leadership del Partito Democratico.
Quando arriverà il momento opportuno? Certamente dopo le elezioni europee della prossima primavera, altro momento fondamentale della strategia di Massimo D’Alema. Prima però ci sono da definire le modifiche della legge elettorale, e anche sulla proposte del centrodestra (liste bloccate e sbarramento al 5%) le strade di D’Alema e Veltroni divergono. La posizione ufficiale del Partito Democratico chiede il mantenimento delle preferenze e uno sbarramento al 3%, sebbene non sia un mistero che il segretario voglia a tutti i costi il mantenimento delle preferenze, anche a costo di uno sbarramento al 5%, mentre D’Alema preferisca uno sbarramento più basso e meno penalizzante per l’Udc e le forze alla sinistra del Pd, anche a costo di dover votare con le liste bloccate. Al di là delle regole, però, quel che conterà delle elezioni europee sarà il risultato: con il Pd sopra la soglia psicologica del 30%, Veltroni riuscirà a rimanere in sella al partito. Con il Pd sotto quella soglia, si aprirà inevitabilmente la guerra di successione, e lì prenderà inizio la terza ed ultima tappa: il congresso.
Un congresso anticipato durante il quale celebrare lo scontro covato negli ultimi mesi tra due visioni radicalmente diverse della politica. Non assisteremo però a una riedizione delle sfide del passato. D’Alema non ha intenzione di contendere personalmente la leadership del partito a Veltroni, e ha deciso di puntare tutto su qualcuno che dell’attuale segretario del Pd è già stato avversario, poco più di un anno fa: Enrico Letta. Da mesi ormai lettiani e dalemiani si parlano e si muovono come un sol uomo: sistema proporzionale, fine dell’autosufficienza del Pd, convergenze con l’Udc di Casini, difesa del governo Prodi e critica alla leadership di Veltroni, anche dopo la recente svolta radical. Non è finita: la stessa Red è presieduta da Paolo De Castro, sostenitore della candidatura dell’attuale ministro ombra del welfare alle primarie del 14 ottobre. Gradita a popolari e rutelliani, una candidatura Letta rispetterebbe poi la regola non scritta dell’alternanza tra ex Ds ed ex Dl nei ruoli cardine del partito. D’Alema lo aveva anticipato: «Il prossimo segretario dovrà avere vent’anni meno di me». Tra Massimo ed Enrico di anni ce ne sono diciassette: l’impressione è che nessuno starà lì a sottilizzare.
(Francesco Costa, Liberal, 8 ottobre 2008)