Mala tempora
Dietro la cacciata degli ambasciatori Usa da Bolivia e Venezuela potrebbe esserci qualcosa in più della consueta avversione agli statunitensi da parte dei governi socialisti del sudamerica. Le prese di posizione di Morales e Chavez hanno dei risvolti e delle motivazioni sia globali che locali che rendono interessante una lettura ragionata dei fatti di questi ultimi giorni.
I FATTI – Da tempo ormai nel nord della Bolivia si consumano scontri tra le forze dell’ordine e fazioni che si oppongono al governo di Morales. Il bilancio degli scontri non è preciso, ma si parla di almeno venti morti nell’ultima settimana. Il 10 settembre il presidente della Bolivia Evo Morales caccia l’ambasciatore Usa Philip Goldberg, accusando gli Stati Uniti di essere dietro le rivolte. Il 12 settembre il presidente del Venezuela Hugo Chavez caccia l’ambasciatore Usa Patrick Duddy al grido di “Yanquis de mierda, qué se vayan!”, solidarizzando così con l’omologo boliviano. Gli Usa rispondono immediatamente espellendo gli ambasciatori di Bolivia e Venezuela. Cosa succede?
MOSCA E TEHERAN – Le prese di posizione di Morales e Chavez hanno trovato una sponda significativa nella Russia, che da mesi ha intensificato i suoi rapporti con i governi socialisti del sudamerica. Il Venezuela ormai da anni è uno dei principali importatori di armamenti dalla Russia, e da qualche settimana Mosca manda i suoi caccia a fare ricognizioni nelle basi militari di Caracas – basi che li accolgono a braccia aperte, manco a dirlo. Come se questo non fosse già abbastanza inquietante, le mosse in sudamerica di Chavez e Morales trovano interesse e sostegno anche nell’altro nemico giurato degli Stati Uniti: l’Iran di Ahmadinejad. Da tempo ormai Caracas e Teheran sono collegate da voli diretti, e nel Dipartimento di Stato americano circolano sospetti sul fatto che il governo di Chavez abbia dato ospitalità e sostegno finanziario a gruppi vicini a Hezbollah. Ahmadinejad, Putin, gruppi di terroristi islamici, regimi socialisti sudamericani: non manca praticamente nessuno. I teorici della nuova guerra fredda trovano quindi pane per i loro denti, se è vero che Chavez e Morales potrebbero voler fare dei loro stati quel che Cuba fu durante la seconda metà del Novecento: l’avamposto dell‘asse del male nel continente americano.
SPALLE COPERTE – Non è solo l’odio verso gli Stati Uniti a guidare Chavez e Morales nell’offerta della loro preziosa postazione geopolitica ai nemici degli Stati Uniti (conoscete la storia: il nemico del mionemico, eccetera). Un’altra chiave di lettura – che integra senza escludere la prima ipotesi – vede Chavez e Morales impegnati a tentare di risollevare le sorti dei loro governi, ormai in crisi di consensi. Di Morales e delle rivolte che infiammano il nord del paese abbiamo detto; Chavez è reduce dalla bruciante sconfitta al referendum costituzionale che avrebbe plasmato la repubblica a sua immagine e somiglianza, soffre dei colpi inflitti alla guerriglia delle Farc dal filooccidentale presidente colombiano Uribe e rischia di essere incriminato per corruzione a causa di una valigia piena di soldi diretta in Argentina trovata in mano a un alto funzionario del suo governo. Magari l’amicizia di Russia, Iran e mondo arabo non gli basterà a portare la rivoluzione in tutto il sudamerica, di certo Hugo e Evo si sentono un po’ più protetti.
SO BBRAVI TUTTI – In questo contesto, Morales e Chavez hanno gioco facile a fare la voce grossa: non hanno niente da perdere. Gli Stati Uniti sono alla vigilia di una elezione che non vede alcun esponente dell’attuale amministrazione a correre per la presidenza, e che quindi a prescindere dal suo esito finale rimescolerà un bel po’ le carte a Washington e nelle relazioni degli Stati Uniti con gli scenari più delicati. George W. Bush non è mai stato politicamente così debole e solo, e in questo momento il Dipartimento di Stato non potrebbe prendere nessuna decisione particolarmente significativa. Detto di quel che i due leader sudamericani sperano accada nel migliore dei casi – il rinforzamento dell’alleanza con paesi potenti e temuti, l’aumento della popolarità interna, la possibilità di prolungare le proprie esperienze al governo – il peggiore dei casi praticamente non esiste: male che vada, hanno fatto l’ennesimo show regalando un’altra patata bollente al prossimo presidente americano.