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Magari mi sbaglio, eh

Sulla base di quali criteri un candidato alla presidenza sceglie il suo candidato alla vicepresidenza? Senza volerci dilungare in un trattato di strategia politica, diciamo che esistono due correnti di pensiero: una volta a rafforzare e rendere più spesso il profilo del candidato alla presidenza, scegliendo un vicepresidente dalle caratteristiche a lui omogenee; l’altra volta a completare il profilo del candidato alla presidenza, scegliendo un presidente che possa coprire i suoi punti deboli. La prima è la tattica in cui si rischia di più: può essere la più pericolosa ma anche la più vantaggiosa. In ogni caso, è spesso quella che sposta più voti, in una direzione o nell’altra; la seconda tattica è riconosciuta come la meno rischiosa ma anche, a conti fatti, quella che meno incide sulle dinamiche di voto. C’è poi un’altro fattore da tenere in considerazione: la provenienza geografica. Il candidato vicepresidente solitamente tira su qualche punto percentuale in più nel suo stato di provenienza, e se il suo è uno swing state (cioè uno di quegli stati in bilico che decide l’esito delle elezioni di novembre), il particolare può non essere indifferente.

OK, PANIC – Cominciamo col senatore democratico, vuoi perché della nomina del running mate di McCain non si ha ancora l’ufficialità, vuoi perché era sicuramente il nome più atteso. Dopo otto mesi di campagna elettorale, tutti conoscono a memoria i punti di forza di Barack Obama: l’incisività straordinaria della sua figura e del suo messaggio, la potenza della sua macchina di fund raising, l’organizzazione capillare sul territorio e sul web. I punti deboli, pure: la giovane età, il colore della pelle, la scarsa esperienza in politica estera. Chi scegliere, quindi? Rafforzare il messaggio con un cinquantenne fresco e con un’esperienza di successo alla guida di uno swing state come Mark Warner o Tim Kaine? O coprire i punti deboli – ammettendo così di averli, però – scegliendo un sessantenne bianco con grande esperienza in politica estera? Obama, peccando forse di coraggio, ha scelto la seconda soluzione.

BIDEN! – C’è da dire però che tanti personaggi potevano rientrare in quel profilo – sessantenne, bianco, esperto di politica estera – e Barack Obama ha scelto probabilmente il migliore sulla piazza: Joe Biden, senatore del microscopico e superdemocratico stato del Delaware, profilo bipartisan, presidente della commissione esteri del Congresso. Qualche gaffe di troppo in passato, alcuni commenti un po’ acidini su Obama ai tempi delle primarie ma tutto sommato un profilo solido e autorevole. Il dubbio è uno e probabilmente troverà risposta solo il 4 novembre: se la working class bianca vuol votare un candidato bianco e di esperienza, basterà il faccione di Joe Biden a convincerla a preferire Obama a McCain?

MONEY MAKES THE WORLD GO AROUND – In quanto a coraggio, il nominee del partito repubblicano non è stato da meno. Puntare su un candidato dal forte profilo bipartisan, inflessibile in politica estera e dalla grande esperienza come Joe Lieberman? Macché. Colmare allora le lacune dell’età e dell’appeal sui giovani, ingaggiando Tim Pawlenty o Bobby Jindal? Nemmeno. I punti deboli da coprire evidentemente erano altri, ed ecco che arriverà con ogni probabilità nelle prossime ore la candidatura a vicepresidente di Mitt Romney, già apprezzato governatore del Massachussets (stato solidamente democratico) e soprattutto con un portafogli grande così e una solida fede religiosa che potrebbe aiutare McCain a conquistare il voto di quegli evangelici che sono stati la fortuna di Bush (benché Romney sia mormone, la cosa non è poi così difficile). Forse, in fin dei conti, scegliere un candidato alla vicepresidenza non è poi un lavoro così complicato.

(per Giornalettismo)