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Durante la campagna elettorale, più di una volta è capitato che un militante – spesso di età compresa tra i 25 e i 40 anni – prendesse la parola per dire, in sostanza, che lui aveva sempre votato centrosinistra, che il Partito Democratico era quello con le idee più simili alle sue, ma che questa volta non potevamo convincerlo a votare Pd perché lui si augurava una sonora sconfitta. Perché? Testuale: “perché solo con una batosta umiliante questa classe dirigente se ne andrà a casa”.

Ogni volta era una fatica spiegare che quando c’è qualcuno che vuol cambiare le cose, e riesce a cambiare poco perché ostacolato dal problema, se quel qualcuno prende una scoppola alla fine il cambiamento rallenta, il problema si ingrossa e si rimane lì; era complesso far capire che i piccoli passi in avanti fatti dal Pd sotto la leadership di Veltroni andavano incoraggiati, e una dura sconfitta li avrebbe stroncati; era complicato far capire che tra la classe dirigente e la base c’è ormai un distacco talmente grande che la sconfitta avrebbe significato rimessa in discussione di tutti i passi avanti fatti fino a quel momento e resurrezione politica di qualsiasi impresentabile che era stato accantonato.

Faccio pacatamente notare che infine la sconfitta sonora e umiliante c’è stata: la classe dirigente è ancora lì ed è più in salute che mai, produciamo ogni giorno correnti, associazioni e fondazioni a ritmo frenetico, siamo passati dal partito leggero alle tessere, dalle primarie ai caminetti, dalla vocazione maggioritaria al pericoloso riavvicinamento al calderone unionista. Dirigenti che sono “andati a casa”: non pervenuti.