Questo sito contribuisce alla audience di IlPost

Un po’ di corrente però non guasterebbe, uff

Dato che in questi giorni è tutto un fiorire di fondazioni, correnti e associazioni, oggi con un gruppetto di millini romani sono andato a sentire della corrente anti-correnti, in un incontro organizzato da Giovanna Melandri. Mi sono iscritto a parlare, segue il testo del mio intervento, per chi c’ha tempo.


Buonasera,
sono Francesco Costa e faccio parte dei Mille, un movimento politico nato un anno fa alla vigilia delle primarie del 14 ottobre. Quando siamo nati abbiamo messo sul nostro sito una frase che mi sembra possa essere un buon lancio per la riflessione:

“Noi siamo quelli che sul Partito Democratico hanno due opinioni in conflitto. La prima è che possa diventare un rivoluzionario meccanismo di cambiamento e rinnovamento della politica e della società italiane, avvilite da anni di pigrizie, egoismi e scarsa lungimiranza. La seconda è che rischi già di diventare ciò da cui si dovrebbe emancipare: la riproduzione di un sistema di autoconservazione di un establishment che ha avuto dei meriti e delle intelligenze, ma che ha smesso di trarne frutto da un pezzo. Noi siamo quelli che non si sono ancora rassegnati a far prevalere la seconda opinione.”

Non ci siamo ancora rassegnati, sebbene sia indubbiamente avvilente trovarsi dopo un anno a dirsi praticamente le stesse cose di allora. Le più che condivisbili conclusioni del documento che ha un po’ convocato questo nostro incontro di oggi – andare oltre la sommatoria dei gruppi dirigenti di Ds e Margherita, superare il correntismo, fare dell’uso delle primarie la regola e non l’eccezione – sarebbero potute essere scritte tranquillamente un anno fa.
Il fatto che oggi siamo qui a commentare una sconfitta cocente parlando di errori di cui eravamo a conoscenza già un anno fa dovrebbe probabilmente dirci qualcosa.

Sarebbe sciocco e strumentale sostenere che le cause della sconfitta risiedano solo nei problemi interni del partito, ma allo stesso modo sarebbe miope non accorgerci delle volte in cui i problemi del partito hanno condizionato pesantemente le nostre prestazioni elettorali.

Pensate alla sistematica e aritmetica spartizione tra ex-Ds e ex-Dl che si fa tutte le volte – tutte le volte – che bisogna formare un organismo o scegliere un candidato del partito per questa o quella carica. Questa pratica non è solamente sbagliata in sè, e tanto basterebbe: è controproducente. E’ una pratica che ci porta a scegliere un candidato non sulla base della sua capacità di intercettare il consenso popolare quanto sulla base dell’equilibrio nella spartizione degli incarichi tra due entità fantasma. Questa pratica sta compromettendo tutti gli sforzi di fare del Pd una cosa nuova, questa pratica in diverse realtà locali sta letteralmente strozzando il partito e la sua la capacità di farsi punto di riferimento dei cittadini, questa pratica ci ha fatto perdere il governo di Roma dopo quindici anni.

La spartizione delle cariche secondo le vecchie appartenenze non è che uno dei problemi del partito.

Si è parlato tanto oggi di correnti, e delle correnti come origine del momento di difficoltà attraversato dal partito. Bene, noi non abbiamo paura delle correnti, anzi, noi pensiamo che un partito grande e democratico possa e debba essere scalabile, che sia in qualche modo normale se non addirittura auspicabile che la dialettica e il confronto avvengano alla luce del sole, che le persone che la pensano allo stesso possano ritrovarsi e adoperarsi perché le loro idee diventino maggioranza nel partito. Benvenute le correnti, se hanno queste caratteristiche. Non ci interessano le cordate, invece: non ci interessano le battaglie ombelicali. Abbiamo già dato.

Allo stesso modo: viva le primarie, ma che siano primarie vere. Vedete, non c’è nulla di male, anzi, nel fatto che un gruppo di dirigenti e militanti del partito abbia delle idee diverse dal segretario per quel che riguarda il modo di gestire il partito, la sua forma o il modo di comportarsi il Parlamento.
Quello che stupisce è che – ferme restando quelle divergenze – i dirigenti e i militanti che non erano d’accordo col segretario alle primarie del 14 ottobre abbiano appoggiato massicciamente il segretario, risparmiandosi l’onta di una probabile sconfitta, privando il partito della ricchezza che sarebbe venuta da un confronto chiaro sul nostro partito e guadagnandosi la possibilità di commissariare o indebolire in qualsiasi momento il segretario che avevano sostenuto.
Fare le primarie così non serve a niente, e quello che le file davanti ai seggi ci fanno guadagnare in termini di immagine lo perdiamo in pochi giorni di gustosi retroscena sui caminetti.

Uno dei temi di cui si è parlato oggi – e di cui si è parlato anche alla riunione dell’assemblea nazionale – è il ricambio generazionale. Ora, non pensiamo che essere giovani – così come essere uomini o donne, eterosessuali o omosessuali – sia di per sè un merito o dia di per sè diritto a particolari privilegi (pensiamo semmai che chi non sa scrivere una email dovrebbe riflettere sulle sue capacità di leggere il mondo moderno, ma questo è un altro discorso).
Ed è vero anche che i giovani lo spazio devono prenderselo e non chiederlo, anche se in un partito normale, scalabile, i giovani avrebbero più possibilità piuttosto che in un partito che ha smesso di scommettere sui suoi trentenni, che chiude i ventenni nel recinto di quelle giovanili che andrebbero abolite, che ha dei meccanismi correntizi talvolta veramente torbidi.

Il punto però è un altro: il punto è la credibilità delle classi dirigenti.

Vedete, i problemi del paese sono sotto gli occhi di tutti, e non bisogna essere dei geni della politica – e in diversi casi nemmeno particolarmente giovani – per farsi venire in mente delle soluzioni adeguate ai problemi della precarietà del lavoro, del funzionamento della pubblica amministrazione, della lottizzazione, giusto per fare alcuni esempi.

Abbiamo però un problema di credibilità delle classi dirigenti.
Non è credibile che parlino di lotta alla precarietà le stesse persone si sono dimenticate di inserire gli ammortizzatori sociali quando undici anni fa hanno introdotto la flessibilità.
Non è credibile che parlino di efficenza della pubblica amministrazione le stesse persone che per anni sono andate a braccetto con le frange più arretrate dei nostri sindacati difendendo un egualitarismo ipocrita e iniquo.
Non è credibile che parlino contro la lottizzazione le stesse persone che negli ultimi due anni hanno gestito le nomine con gli stessi criteri con cui ora le gestirà il governo di centrodestra.

Per questo serve un ricambio generazionale: per rendere più forte e credibile il nostro messaggio, per liberare le energie di questo partito.

Abbiamo detto, e concludo, che tanti sono gli ostacoli che rendono questo partito meno scalabile di quanto vorremmo, ma questo non può e non deve diventare un alibi per chi vuole cambiare le cose: non possiamo permettercelo.

Un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere di qualche giorno fa citava questa frase di Umberto Saba:

“Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto in tutta la sua storia una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi ma fratricidi. Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che s’inizia la rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.”


“Uccidere il padre”
è il titolo – forse un po’ truculento ma sicuramente efficace – dell’incontro che apre l’assemblea nazionale dei Mille, che si terrà venerdì 11 luglio qui a Roma nella sede del Pd di S. Maria delle Fratte. Sarà una cosa un po’ in stile anglosassone, con venticinque oratori che prenderanno la parola per cinque minuti ciascuno: parteciperanno diversi parlamentari del Partito Democratico insieme a tante persone giovani e di valore del mondo della politica, della cultura e dell’università.

Speriamo di rivedervi tutti l’11 luglio, consideratevi ufficialmente invitati.