Laggiù qualcuno mi odia
Quando sei un ragazzino che tiene per la Roma e vive in uno dei tanti posti d’Italia – che non sono Milano e Torino – in cui sono tutti juventini, milanisti o interisti, nel mio caso Catania, capita spesso che a quella fatidica domanda – “di che squadra sei” – e alla relativa risposta – “della Roma” – seguano facce strane, occhi più o meno sbarrati e sorrisini di compatimento (tenete conto che quando ero ragazzino io la Roma era quella di Mazzone). Solitamente, poi, specie da quando il Catania non milita più nei bassifondi del calcio professionistico, la domanda successiva serve all’interlocutore per capire quanto il tuo tifo esotico sia una stramba boutade o una cosa seria – ovviamente il suo tifare per il Milan da Catania è tutt’altro che esotico, e radicalmente diverso dal mio essere romanista a Catania. La domanda mette insieme uno scenario iperbolico e paradossale, e provoca: “E se un giorno all’ultima giornata di campionato si giocasse una partita tra Roma e Catania, che se vince la Roma è scudetto e se il Catania perde è in serie B, tu per chi terresti?”. Me lo avranno chiesto un centinaio di volte.
Domenica è l’ultima giornata del campionato, e si gioca Catania-Roma. Per non andare in serie B il Catania deve non perdere contro la Roma e sperare che l’Inter vinca (o pareggi) contro il Parma, portando così a casa lo scudetto. Per vincere lo scudetto, la Roma deve sperare che il Parma fermi l’Inter e battere il Catania, condannandolo così a una retrocessione sicura. Insomma, l’imponderabile è successo.
Catania è la squadra della mia città, mi è simpatica, sono contento quando vince ma qui finisce la storia; se fossi nato a Piacenza o a Bari sarebbe stato lo stesso per il Piacenza o per il Bari. La Roma è la mia squadra: quella per cui dico quelle cose sconnesse e compio quei riti che accomunano i tifosi veri. La Roma sarebbe stata la mia squadra a Piacenza, a Bari e Catania, quindi non esistono dubbi: domenica metterò la maglia di Montella del 2001, ripenserò – ma di nascosto – a quel 17 giugno, dribblerò i maxischermi, incrocerò le dita e mi sa che finirò senza voce.