I conti di Walter e le elezioni
Può sembrare scontato, ma diciamolo lo stesso: di tutti gli scenari possibili, la vittoria è certamente quello che renderebbe più facile il futuro di Walter Veltroni. Centrare l’impresa di vincere le elezioni – di vincere queste elezioni – vorrebbe dire aprire un ciclo di governo che avrebbe il potenziale per durare oltre lo spazio di una legislatura. La formazione di un governo monocolore Pd provocherebbe un terremoto del quale il sistema politico italiano potrebbe solo giovarsi: crollerebbe istantaneamente il centrodestra as we know it, Berlusconi alla seconda sconfitta consecutiva sarebbe messo da parte, Fini e Casini farebbero a gara a prendere la sua eredità liberandosi della Lega, inizierebbe finalmente anche in Italia il processo di costituzione di un serio partito conservatore. Dall’altra parte, la sinistra radicale scomparsa nelle urne sarebbe ridotta a un’area marginale di testimonianza identitaria mentre, soprattutto, il fronte interno che ostacola l’operato di W. all’interno del partito subirebbe un colpo durissimo.
FUOCO AMICO – Sì, un fronte interno. La storia è nota: parte delle vecchie classi dirigenti di Ds e Margherita decise di appoggiare la candidatura di W. perché riconosciuta come quella con le maggiori possibilità di vittoria e non perché si rispecchiasse in qualche modo nella sua idea di partito. La composizione di questa fronda è insolita: ex-correntone (Brutti, Vita), dalemiani (Turco, Bersani), popolari (Fioroni, Castagnetti), prodiani (Bindi, Parisi). In due parole: la sinistra e la destra del partito.
CONSERVATORI E PROGRESSISTI – Nonostante moltissimi di loro siano stati eletti alla primarie nelle liste “per Walter“, li abbiamo visti marciare a braccetto contro praticamente tutte le decisioni prese da W.: contro la scelta di andare da soli alle elezioni, contro l’accordo con Di Pietro, contro la posizione del partito sulla riforma elettorale, contro le primarie come meccanismo per determinare la classe dirigente del partito. Su diverse questioni il fronte interno ha già ottenuto delle rilevanti vittorie. Soglie per le candidature a segretario nazionale, numero di liste collegabili ai candidati segretari, numero massimo di mandati per gli eletti, primarie o meno per la selezione delle candidature alle cariche elettive, partecipazione alle primarie di coalizione: su tutte queste questioni i veltroniani hanno perso. Fatte salve alcune eccezioni, le misure proposte da W. per il rinnovamento della forma partito sono state affossate dal tiro incrociato della sinistra e della destra del partito. In commissione statuto la linea veltroniana di apertura e modernità ha subito un brusco stop e solo le necessità della campagna elettorale impediscono allo scontro in atto di venire a galla.
LA RESA DEI CONTI – Detto che la vittoria permetterebbe a W. di finire il lavoro specie lì dove ha incontrato maggiori resistenze (ad esempio in Campania, dove Bassolino è ancora al suo posto solo grazie agli uffici del lìder Maximo) e arrivare alla prima convention del partito sulla spinta fornitagli da un’altra vasta investitura popolare, la sconfitta renderebbe tutto più complicato. Goffredo Bettini nei giorni scorsi ha fissato l’asticella al 35%. W. non vuole sentir parlare di numeri ma sa bene quale tipo di partita si stia giocando nel suo campo. Anche nella sconfitta, un buon risultato gli permetterebbe di tenere ben salda la leadership del partito e rivendicare la bontà delle sue scelte, arrivando alla convention con le chance per segnare un altro passo nella direzione di un partito meno ancorato alle logiche del passato. Un risultato deludente lo sottoporrebbe al fuoco della sua opposizione interna, facendo addirittura traballare la sua leadership – Bersani scalda i motori da luglio – e riportando alla ribalta la vecchia dirigenza di Ds e Margherita.
Insomma, ecco il paradosso: Veltroni si trova a guidare un partito appena nato in un’elezione resa praticamente impossibile dagli errori e dalle negligenze di quella classe dirigente che oggi, dentro il suo stesso partito, sta ostacolando il suo sforzo di superare le logiche e i meccanismi che hanno prodotto quegli errori e quelle negligenze. Una storia che dice molto di quel pantano che è diventata la politica italiana e delle resistenze a cui va incontro chiunque provi a cambiare qualcosa.