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Pochi ma buoni (reprise)

Marco mi risponde a proposito di quel che avevo scritto ieri riguardo dell’affluenza alle elezioni. Il suo punto è:

Ma a parte le ragioni del voto, su cui si intrecciano passioni e interessi, il fatto che i luoghi meglio governati siano quelli in cui meno gente va a votare mi sembra la tipica correlazione senza causazione (ammesso che la seconda sia una parola in italiano). Per esempio, Obama rischia di vincere proprio perchè a tanti americani, ma a tanti, è tornata la voglia di partecipare, cantare, votare. Mentre quelli che studiano (tanto) sono sempre gli stessi.


Io non escludo che sia così, per quanto il fenomeno Obama – almeno dal punto di vista dell’impatto comunicativo – sia un fenomeno piuttosto ricorrente in politica: l’uomo nuovo e carismatico che promette di rivoluzionare la politica e porta gente nuova al voto, insomma, qualcosa di simile al Berlusconi del 1994. Il punto però è che – e uso parole dette dallo stesso Marco pochi giorni fa qui – il fenomeno dell’allontanamento e della disaffezione dei cittadini dalla politica dura da anni e accomuna la grandissima parte delle democrazie occidentali. Se negli altri paesi democratici questo si è tradotto in una tendenziale caduta delle percentuali dei votanti, in Italia invece si verifica il fenomeno più unico che raro dell’elettorato che elegge in massa (quasi 84% alle ultime politiche, ricordo) una classe politica mediocre di cui poi non fa altro che lamentarsi dal giorno successivo al voto.

Perché questo accade? Probabilmente perché, come scriveva Lanfranco Pace, il bipolarismo all’italiana ha una caratteristica fondamentale che rappresenta un grande segno di continuità tra prima e seconda repubblica: la demonizzazione dell’avversario. Decine di studi statistici e sondaggi hanno dimostrato che in Italia ad ogni tornata elettorale pochissimi elettori si spostano da uno schieramento all’altro. Per dirla come Luca Ricolfi:

In ogni tornata elettorale importante, come le Politiche o le Regionali, la quota di elettori che “tradisce” il proprio schieramento e passa a quello opposto è decisamente piccola: più o meno un elettore ogni trenta aventi diritto al voto. Un flusso pari a circa il 3% del corpo elettorale. Persino nelle elezioni regionali del 2005, da quasi tutti percepite come un terremoto politico, gli elettori transitati direttamente da uno schieramento all’altro non sono stati più di uno su venticinque, dunque grosso modo il 4% del corpo elettorale. […] In Italia, a differenza di quanto accade altrove, non solo sono pochissimi gli elettori che transitano effettivamente da uno schieramento all’altro ma sono tutt’ora pochi gli elettori che prendono in considerazione la mera possibilità futura di votare lo schieramento opposto. La maggior parte degli elettori considera solo due alternative: votare il proprio schieramento o non votare. […] Questo tipo di circolazione è un problema per il nostro sistema politico. Se il nostro è un sistema di “pluralismo polarizzato” è anche perché i nostri politici sanno benissimo che i grandi flussi sono quelli da e per la vasca dei non schierati, e credono (erroneamente) che solo alzando la voce si riescano a “scaldare i cuori”, mobilitando così gli indecisi.
(da “Perché siamo antipatici”, Longanesi, 2005)

La strategia della polarizzazione dello scontro fatta demonizzando l’avversario (“Berlusconi!”“I comunisti!”) ha portato alla creazione di quel mood trasversalmente ed enormemente diffuso secondo cui se vince la mia parte politica il paese sarà rivoluzionato, mentre se vincono gli avversari la democrazia è in pericolo. Tutto questo ha trascinato al voto milioni di elettori demotivati (o ipermotivati, secondo i punti di vista) pronti a votare senza troppi problemi Dell’Utri o Previti pur di salvare l’Italia dai comunisti, o Caruso o Binetti pur di salvare l’Italia da Berlusconi. In un paese normale, i cittadini dovrebbero sentirsi liberi di non votare il Pd a causa della Binetti senza temere la fine della democrazia in caso della vittoria di Berlusconi; in un paese normale, i cittadini dovrebbero sentirsi liberi di non votare Forza Italia a causa di Previti senza temere la fine della proprietà privata in caso di vittoria dell’Unione. Qui nessuno sostiene che la democrazia migliore sia quella in cui non va a votare nessuno, bensì si dice un’altra cosa: la polarizzazione dello scontro ha portato in Italia a una situazione per cui si è preferito votare chiunque (ma proprio chiunque) pur di non far vincere l’altro, e a farlo in massa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la classe politica peggiore d’Europa si è retta in piedi finora sulla base dello spauracchio dell’avversario, e lo ha fatto sostenuta ed eletta da un affluenza elettorale proprio per questo incredibilmente alta. Sicuri che si tratti di correlazione senza causazione?