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L’autogol di Luttazzi

Dalla rubrica delle lettere del Foglio:

Al direttore – Ho letto la sua lettera a Repubblica sulla sospensione del programma di Daniele Luttazzi, sulla rete 7 e anche le giustificazioni del comico sul suo tipo di satira. Lei afferma che “quella di Luttazzi su di me era satira, su questo non ci piove” e poi spiega perché, ciononostante, ha approvato la sospensione del programma perché contravveniva alle regole di mercato di una televisione commerciale e cioè al limite che un editore televisivo fissa alla libertà di satira. In base al buon senso non si può non essere d’accordo con lei. Però a me pare che si è persa un’ottima occasione di chiarire che cosa è diventata oggi la satira, e se sia giusto qualificare come tale l’offesa ai limiti dell’ingiuria. Chiunque abbia seguito il “Decameron” di Luttazzi si era reso conto che il suo modo di fare satira non si distingueva dall’espressione di quello che comunemente viene considerato un rosario di sconcezze. Quando Luttazzi è stato riproposto dalla 7 ai telespettatori, mi sono compiaciuto di questa iniziativa, perché rimediava a un torto che gli era stato fatto quando, per ragioni politiche, era stato esiliato dalla Rai tv ma lui non ha saputo apprezzare questa opportunità ed è diventato la punta dell’iceberg della satira uguale insulto, un genere che a prescindere da ogni valutazione politica suscita disgusto. Io non so se era giusto “licenziarlo”, ma sono convinto che il caso Luttazzi era l’opportunità per denunciare la degenerazione della satira soprattutto in televisione. Purtroppo è un’occasione che è stata perduta e dobbiamo quindi rassegnarci a considerare satira gl’insulti conditi con: “Vaffanculo e Cazzo”, nei programmi televisivi.
Giovanni Russo

Risposta del Direttore
Egregio e caro Russo, ci vogliamo bene ma adesso lei è ingeneroso. Come fa a parlare di occasione persa? Dopo che la satira luttazziana, condita da una dose sovrabbondante di bullismo ideologico-scatologico, è stata sanzionata da quel sant’uomo di Antonio Campo Dall’Orto e da un paziente G. Ferrara, per nulla offeso ma freddamente intenzionato a curare il senso del limite nella società del vaffanculo politicamente corretto, è successo questo. Primo. Tre guru del pensiero di sinistra su Repubblica (Sofri, Serra e Corrado Guzzanti) hanno scritto o detto cose ragionevoli e interessanti, che non fanno di loro dei nemici della satira o dei servi del potere, ma il cui senso è: cari martiri, ci avete rotto un po’ i coglioni. Bene, no? Non ricorda le sciocchezze che abbiamo dovuto sentir dire per cinque lunghi anni e il martirologio infinito di un’era anche più lunga? Secondo. Daniele Luttazzi, che torno a invitare a Otto e mezzo e per quanto mi riguarda può riprendere anche domani la sua trasmissione, dopo avere ascoltato le mie ragioni di Grasso Inquisitore e averle metabolizzate (così la cacca viene anche più soda), ha rifiutato di discutere dicendo che non è una scimmietta e non vuole alzare l’odiens degli altri (gli basta il proprio, di odiens). Con questo rifiuto (pensaci, Daniele!) ammette, da vera scimmietta militante, che l’unico pubblico e gli unici interlocutori per lui tollerabili sono i macachi dell’ass. art 21 che lo ospiteranno in un teatrino per farsi la solita gustosa sega collettiva. E ammette altresì che il luogo giusto per la sua satiriasi è il teatrino off off Broadway, lo zoo giusto per i Lenny Bruce della mutua e dei miei stivali. Terzo. Mi sono tolto lo sfizio di ricordare ai colleghi del Manifesto, eroica cooperativa del lavoro sovietico che prende contributi dello stato (ma anche di Craxi e di Orazio Bagnasco e di Cesare Romiti: Valentino, sei sempre stato un Dio!), contributi purificati dalla sua ideologia anticapitalistica, come dice sempre la zia Norma nelle trasmissioni del servizio pubblico televisivo, che la satira ce l’hanno fin dentro la testata di quotidiano comunista. Sarebbe come se noi fossimo così sprovvisti di sense of humour da mettere sotto alla testata del Foglio un “quotidiano nazista” o “quotidiano razzista” o “quotidiano imperialista”, e questo per rivelare con orgoglio la vera bandiera che come è noto fluttua sulle nostre idee e sul nostro lavoro. E per soprammercato ci siamo detti certi che loro difenderebbero la libertà di satira come libertà assoluta, senza limite alcuno, anche nel caso in cui un comico di destra prendesse la Rossana Rossanda e la mettesse nella vasca e le infliggesse il trattamento satirico inflitto a me. Sarebbero certamente coerenti con i loro principi. Per tutta risposta la direttora, Mariuccia Ciotta, ci ha regalato un autogol da delirio tifoso. Ha detto che Rossana in vasca non farebbe ridere, perché lei non sta dalla parte del potere, è una combattente indomita della lotta generale, e dunque non se ne parla. Quel “residuo di sperma e cacca depositato sul lenzuolo dopo un rapporto anale”, il “Giulianone” di Luttazzi, sì; Rossana no. Ora, siccome sono una specie di scimmietta liberale, e dispongo di senso dell’umorismo, accetto volentieri questa confessione: siamo militanti della differenza antropologica, facciamo comizi ai convertiti, a quelli che già sanno che Giulianone è un torturatore di Abu Ghraib e dunque merita la cacca in bocca. Accetto volentieri la divisione del mondo in buoni e cattivi, e mi metto dalla parte dei cattivi, che per fortuna sono in maggioranza, altrimenti con una maggioranza di buoni saremmo in Urss o nel paese dei Talebani: però alla fine i cattivi hanno il diritto di vedere i buoni off off Broadway. Non è che abbiamo stravinto? Ci farà male al pancino?