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Fantapolitica: Italia, anno 2009

Va bene che in questo paese abbiamo perso da tempo la voglia di pensare al futuro, va bene che siamo già talmente in lotta col presente da non trovare un attimo per ragionare su un orizzonte un po’ più largo, va bene che l’attuale situazione politica è talmente traballante chè figuriamoci fare progetti o previsioni.. ma, ecco, vogliamo pensare a cosa potrebbe attenderci da qui a qualche mese?

Il punto di partenza è rappresentato dal presente, più le uniche cose che si possono ragionevolmente prevedere.
Il governo traballa, si piega, arretra, arranca ma ce la fa. Almeno finora. La maggioranza parlamentare, no. Perde pezzi ogni giorno che passa ed è vittima di una serie infinita di operazioni di riposizionamento che fanno cambiare lo scenario a ogni levar del sole. Gruppi parlamentari fioriscono come funghi. Al centro, in diversi si stanno smarcando con decisione: l’Udeur, l’Italia di Mezzo di Follini, i Liberaldemocratici di Dini, l’Unione democratica (sic) di Manzione e Bordon (fortunatamente qui avevamo capito da tempo che bisognava starne alla larga). A sinistra, l’emorragia di voti e la necessità di arrivare duri e puri alla manifestazione del 20 Ottobre rende ardua ogni possibilità di dialogo con i partiti comunisti, vicini alla pura schizofrenia: approvano la finanziaria in Consiglio dei Ministri e la criticano dopo dieci minuti, firmano il protocollo sul welfare e scendono in piazza contro il protocollo sul welfare. Quando si dice il senso di responsabilità. I Ds e la Margherita sono vicini al loro definitivo scioglimento: il 14 Ottobre un numero più vicino ai due milioni che al milione di persone (mia personalissima previsione) eleggerà l’assemblea costituente del nuovo partito, che a sua volta eleggerà segretario a larga maggioranza Walter Veltroni, creando un altro potenziale fattore di instabilità per il governo Prodi.
L’opposizione non è messa meglio. Gli unici a volere realmente votare subito sono Forza Italia e la Lega. Berlusconi sa che ogni giorno che passa lui è meno forte, i suoi uomini sanno che ogni giorno che passa la Brambilla è più vicina. La Lega verrebbe emarginata da qualsiasi ipotesi alternativa al voto. Alleanza Nazionale, però, non vede l’ora di liberarsi di Berlusconi. E non disdegnerebbe una legge elettorale che rafforzi il bipolarismo: magari un maggioritario. Ma ha senso chiedere il maggioritario senza avere uno straccio di idea sul partito unico del centrodestra? Forse no: la decisione spetta nuovamente a Berlusconi. L’Udc spera che il governo cada domani, per proporre – invece che le elezioni – un governo di larghe intese che possa porre le basi per la nascita del Grande Centro. E poi?

Scenario 1 – Sogno o son desto?
Il governo tira avanti ancora un po’, tenuto in vita proprio dall’opposizione, che non vuole si vada a votare troppo presto. Approvata la finanziaria, un rimpasto dimezza il numero dei ministri e dei sottosegretari, sostituisce Padoa Schioppa con Fassino, D’Alema lascia la vicepresidenza del consiglio. L’esecutivo recupera qualcosa nei sondaggi, ma in Senato la situazione è compromessa. I decreti legge si arenano, vengono stravolti: la situazione è ingovernabile. Tutti sono d’accordo sulla necessità di andare al voto, ma il Pd si mette di traverso: o si cambia la legge elettorale, o si va avanti così. Nell’opposizione, gli unici disposti al dialogo su una legge elettorale tipo-Mattarellum sono Forza Italia e An. La sinistra radicale grida all’inciucio, dimenticandosi di avere gridato al colpo di stato quando la Cdl cambiò la legge senza la collaborazione dell’opposizione. Il Pd va avanti per la sua strada: oggi per ogni voto guadagnato al centro se ne perdono due a sinistra, ma si tratta di un fenomeno temporaneo e reversibile. Senza una trasformazione politica vera, l’area della sinistra radicale è destinata alla graduale marginalizzazione. La legge passa – siamo più o meno in primavera 2008 – e si torna al voto.

Scenario 2 – La terza repubblica
Il governo non ce la fa e cade, stavolta definitivamente, durante l’iter di approvazione della finanziaria. Decisive in Senato le defezioni di Dini, Bordon e Manzione, che votano no ad una finanziaria “troppo sbilanciata a sinistra”. Diversi malumori anche a sinistra, nei confronti di una finanziaria “dettata da Confindustria”. Parlano entrambi della stessa legge, ovviamente. Prodi saluta tutti e se ne va. Napolitano avvia le consultazioni e chiarisce: non si torna a votare con questa legge. Si creano le condizioni per un governo di larghe intese Pd-Udeur-Udc-Fi con un mandato preciso: cambiare la legge elettorale, dimezzare il numero dei parlamentari, dare maggiori poteri al premier. Una bicamerale-bis, insomma. In un anno, il governissimo tira fuori una legge elettorale sul modello tedesco con voto di preferenza e sbarramento alto, 400 deputati, 150 senatori, potere di nomina e revoca dei ministri al premier. Poi si torna al voto, nella primavera del 2009.

Scenario 3 – Reset
Il governo non ce la fa e cade, stavolta definitivamente, durante l’iter di approvazione della finanziaria. Decisive in Senato le defezioni di Dini, Bordon e Manzione, che votano no ad una finanziaria “troppo sbilanciata a sinistra”. Diversi malumori anche a sinistra, nei confronti di una finanziaria “dettata da Confindustria”. Parlano entrambi della stessa legge, ovviamente. Prodi saluta tutti e se ne va. Le elezioni sono inevitabili, nonostante la legge elettorale sia ancora la porcata: le vogliono praticamente tutti, eccetto il grande centro. Veltroni, neo-eletto segretario del Pd, è costretto a lasciare l’incarico di sindaco Roma per candidarsi a premier. E’ un’impresa impossibile, però, e viene sconfitto. La Cdl fa in un attimo pace con l’Udc e torna al governo. A Roma, Gianfranco Fini sfida Nicola Zingaretti per la poltrona di sindaco. Zingaretti aveva battuto la concorrenza di Melandri, Gentiloni e Lanzillotta ma perde: Roma ha voglia di cambiare, Fini gioca in casa e i cittadini non perdonano al centrosinistra di aver lasciato il lavoro a metà. La classe dirigente del Pd dà le dimissioni dagli organi del partito. I più restii vengono destituiti durante un congresso straordinario, chiesto a gran voce dagli iscritti, che sancisce la necessità del salto di una generazione e consegna le chiavi del Partito ad una segreteria la cui età media oscilla intorno ai quarantacinque anni.